Oggi è facile avere informazioni su qualsivoglia argomento, basta sfogliare le pagine di un libro o collegarsi ad internet e leggere su di uno schermo.
E’ quindi facile sapere cos’è la tartuficoltura e come fare per produrre tartufi. Si possono trovare indicazioni sul dove acquistare piante micorrizate, come piantarle, allevarle, potarle, irrigarle e quantaltro.
Cartaceo o a video, un bel manuale!
Questo è il grande rischio della cultura così acquisita. L’agricoltura è scienza complessa che richiede preparazione ed esperienza, figuriamoci la tartuficoltura che ne è una branca “nuova”. E’ impensabile l’utilizzo di un “manuale”. Oggi, nei siti giusti, con le specie arboree giuste, con le specie di tartufo giuste, con le conoscenze agronomiche giuste, è piuttosto facile coltivare tartufi e il reddito che ne può derivare è assolutamente superiore a qualsivoglia altra coltura. Basti pensare che dove la tartuficoltura è un fatto acquisito, e parlo di zone in Italia, i redditi sono tali che hanno portato ad un aumento del valore dei terreni agricoli (quindi delle aziende agricole) elevandolo anche al di sopra del valore dei terreni edificabili. La tartuficoltura in collina e montagna consente redditi e può pertanto legare l’agricoltore all’azienda, anche il giovane agricoltore può fare impresa. Si contrasterebbe così il deleterio
fenomeno, in continua crescita, dell’abbandono delle terre, con relative conseguenze anche per la Società.
Anche nelle zone di pianura destinate a coltivazioni intensive (ad alto impatto ambientale), si può vantaggiosamente intervenire investendo nella coltivazione di tartufi. Vantaggiosamente da un punto di vista economico e da un punto di vista ambientale (niente trattamenti, niente prodotti di sintesi, bassi investimenti in macchine e petrolio).
Torniamo al nostro “Manuale di Tartuficoltura” che ci dice come fare a lavorare il terreno, a piantare, ad irrigare, a potare, forse anche a concimare e così via. Ad ogni domanda una risposta, la stessa risposta, come se parlassimo di matematica.
Eppure ogni domanda non può avere risposta, o ne può avere tante e diverse tra di loro. Già, ogni caso è un caso a sè stante. Ogni caso va attentamente valutato sul posto, in particolare nella fondamentale fase di progettazione, ma anche in seguito nelle fasi di allevamento ed in quelle di produzione.
A quale altezza sul livello del mare? Con quale esposizione? Il terreno è sabbioso o argilloso? Di quale specie arborea stiamo parlando e con quale specie di tartufo è micorrizata? Il PH ? Il microclima ? Quante variabili! Ed ancora, il proprietario chi è, quali le motivazioni dell’impianto?
Chi lo seguirà? Il fattore umano è importantissimo ed anche di questo si deve tener conto in fase di progettazione.
Per complicare ulteriormente, ogni anno le cose possono cambiare in funzione dell’andamento vegetativo, di quello climatico, di fattori contingenti spesso imprevedibili. Gli agricoltori mi capiscono bene! Altro che manuale ! Occorre una preparazione specifica che consenta di osservare e valutare i tanti fattori che hanno interagito, collaborato fino ad arrivare all’agoniato risultato, il carpoforo (il frutto, il tartufo).
Ogni caso è specifico al punto che, nel tempo, il vero esperto della propria tartufaia potrà essere solo il conduttore della stessa.
Per quanto detto fino ad ora, anche in questa sede, insisto nel dire che, prima d’iniziare quella entusiasmante attività agricola che è la tartuficoltura, dobbiamo studiare il caso specifico, valutarne ogni aspetto, pensarci bene senza cadere in entusiasmi che potrebbero anche essere non giustificati. Se la valutazione è positiva, a questo punto, è la progettazione che conta, la chiave del successo. La nostra Associazione può essere un aiuto ad affrontare in modo corretto questa attività agricola di pregio

Prof. Lucio Pierantoni scritto il 04-02-2012