Pochi lo sanno, ma il tartufo non è un prodotto agricolo. Almeno secondo il Mef che lo esclude esplicitamente dalle tabelle fiscali che valgono per gli altri tuberi e per gli ortaggi. Un dettaglio non di poco conto, se si considera che – per una serie di complicati meccanismi di autofatturazione – il tartufo oggi è tassato al 44% ed è automaticamente escluso dagli aiuti comunitari. Non è solo una questione che riguarda le tavole ‘di lusso’: secondo Rocco De Carlo, dell’associazione TartufOK che si è messa alla testa di una crociata con Assotartufi, Tuberass e Fita, è in gioco la creazione di una filiera “strutturata e moderna sul modello di quanto avviene negli altri Paesi europei nostri concorrenti sui mercati internazionali”-
“Per anni siamo stati vessati da una norma, introdotta nella finanziaria del 2005, che prevedeva che i commercianti di tartufo potessero acquistarlo dai raccoglitori che non avevano partita Iva emettendo un’autofattura definita indetraibile. In pratica per ogni acquisto dovevamo fare un pagamento del 22 per cento allo Stato senza poterlo detrarre” denuncia De Carlo, “Abbiamo messo in atto una serie di azioni per arrivare alla modifica e rendere il tartufo italiano competitivo sul mercato internazionale”. Fino al coinvolgimento della Commissione Ue che ha ritenuto illegittime non solo la non detraibilità dell’Iva sui tartufi per i commercianti, ma anche il mancato inserimento del pregiato tubero tra i prodotti agricoli. Con un emendamento presentato il 31 marzo – e che sarà discusso domani in Senato – il governo ha cercato di evitare la procedura di infrazione ma, stando alle parole di De Carlo “mettendo una pezza che non risolve il problema”.
“il nostro sconforto” dice, “nasce dal fatto che l’emendamento prevede l’abbassamento dell’Iva dal 22 al 10% (anche se avevamo chiesto il 4% come previsto dalla classe d’appartenenza in Paesi concorrenti come Francia e Spagna) ma non l’inserimento del tartufo tra i prodotti agricoli. Il mantenimento di questa esclusione determina problemi per la produzione perché toglie slancio alla tartuficultura. Un freno alla volontà di investire da parte delle aziende e un danno per il consumatore, perché non rende possibile la tracciabilità del prodotto. Non è solo un problema di trasparenza: da un ulteriore abbassamento dell’Iva e dall’aumento della produzione si avrebbe un calo del prezzo al consumo “.
Il giro d’affari dichiarato del tartufo in Italia è di tutto rispetto: venti milioni di euro acquistati dai cavatori con una produzione che va per il 50% all’estero. Anche se forte è il consumo da parte di stranieri in Italia, universalmente riconosciuto come il Paese che dell’uso del tartufo in cucina ha fatto un’eccellenza. (AGI)